di Anna Baldinelli
Prefazione: E’ un racconto breve, dolce, magico, quasi nostalgico, una storia di sentimenti contrastanti fra due ragazzi che non vogliono credere che il loro sia solo un sogno e lottano fino all’esasperazione per amore pur sapendo, anzi non sapendo cosa sia realmente: forse la luna nel pozzo? Un destino? Una realtà?
La luna quella sera passava nel cielo nebbioso, leggera per la sua strada, sopra noi due, indifferente piena di ricordi emozioni e fantasie, mentre i nostri pensieri volavano con essa e si disperdevano nel cielo.
Dentro di me impulsi, passioni illusioni e tutto scivolavano via come l’acqua, dentro l’acqua come il granchio. Sognavo, inventavo in una nebbia interiore di desideri, progetti, fantasie idee. Ma nel guardare quella luce dai contorni imprecisi mi sentivo lontana ed avevo paura. Due passi avanti e tre indietro come il granchio ed indolente la mia pigrizia mi lasciava prendere per condurmi nel sogno di ieri.
Vicino vicino sentivo la sua presenza e intorno a noi il silenzio ci avvolgeva sui capelli umidi e sulla pelle di seta come ieri, come quando ci amavamo nel nostro letto.
Pensai di rompere quel silenzio che mi opprimeva e dissi: vidi lassù nel cielo vicino alla luna ci sono due stelle, una è grande e lucente, l’altra è più piccola e meno visibile, non è uno spettacolo affascinante?
- Di affascinante ci sei solo tu – mi rispose secco.
Fredda e lontana ribattei, non mi importava nulla ormai e volevo lui soffrisse come soffrivo io in quel momento – sono affascinante perché sono lontana come quella luce lassù falsa e pallida; la luna che questa notte sembra guardarci infida e crudele come te - mi voltai, non volevo lui vedesse una lacrima amara che prepotente era scivolata a rovinare tutto.
- Hai fame? – disse lui allegro – sai sulla strada c’è un posticino molto caratteristico dove possiamo mettere qualcosa sotto i denti – lui i denti li aveva stretti mentre mi stava invitando lassù. Non avevo fame ma con la gola chiusa e la testa per aria accettai. Per mano ci incamminammo, io facevo fatica a stare al passo con lui perché avevo male ai piedi per via dei tacchi altissimi delle scarpe che avevo calzato per lui. Ogni tanto voltavo lo sguardo per osservare la luna e le stelle lucenti più che mai. Egli se ne accorse e fiducioso disse – chissà che non siano di buon auspicio, parlo delle stelle eih sei diventata sorda o, dove sei in questo momento?
Ancora quel tono arrogante e sicuro, io feci buon viso a cattiva sorte stringendo più forte la sua mano che tremava. Avrei voluto bussare alle porte del suo cuore ma paziente aspettavo che la mia stella guida pura nella sua nudità mi desse un segnale. Lei così serena eppure ansiosa e tormentata come era inutile smaniare, inutile agitarsi, inutile cercare scorciatoie: aspettavo che l’ora scoccasse mentre vanitosa, egoista danzavo nei ricordi di ieri incurante di lui che silenzioso mi seguiva sorreggendomi se ogni tanto vacillavo per colpa del selciato e delle scarpe dal tacco alto.
I nostri passi risuonavano nel silenzio di una notte diversa e pensavo al mondo alla vita all’insieme; cercavo l’armonia con le sue regole ma non reggeva, sapevo che noi due avevamo infranto quell’armonia e la felicità non sopporta incrinature, è o non è, senza mezzi termini. Forse l’attesa sarà più lunga ma non volevo in cuor mio che nessuno dei due rimanesse deluso e cercavo la guerra nella pace per distruggere e separare la fortezza del nostro …….. e non riuscivo a dare un nome a quella struggente voglia che avevo di lui e che lui aveva di me. Confusa mi lasciavo trasportare come un sacco vuoto lassù dove avremmo potuto scaldarci e lottavo con me stessa allenandomi per formare frasi fatte che risultassero mie e basta; non avevo dubbi anche se lui era irraggiungibile come la luna lassù magica e lontana e lo vedevo com’era immaginandolo come un angelo. Questo per me significava rinascere ma il fuoco brucia e castiga gli angeli che con la tromba annunciano assordanti difficoltà disagi e liti, mentre cercavo giustificazioni per me e per lui.
Domani presto ci sarà li il sole e noi due avremmo danzato; il triste passato sta per scomparire ma la luce del sole imminente si attenuava fino a spegnere i miei pensieri che si rincorrevano. In fondo il sole di marzo è freddo e la primavera è ancora lontana come la nuvola che in quel momento stava in cielo ponendosi a diaframma tra la luce delle stelle. Pensavo a lui stravagante, anticonformista, incurante e, io avrei voluto leggergli dentro; lui folle, geniale, libero, diverso ma mai ambiguo né falso, lui che io amavo ancora e di più. Fino a poco prima ero stata capace di recitare ma ora mi sentivo debole e stanca. Ma chi volevo ingannare? Quindi decisi di ritornare ad essere quella che ero stata, quella che lui conosceva. Approfittai di quel silenzio di tomba e di mute parole e del mio angelo pronto, in agguato qualora io avessi detto una parola falsa. Ancora la paura non mi aveva abbandonata e rallentavo il passo; non mi bastava sapere, volevo capire e l’incertezza, i dubbi mi impedivano di dire una sillaba vera e, lui sapeva, conoscendomi che non avrei retto a lungo quello sforzo mentale che mi rodeva dentro la mia gabbia. Era lui nel giusto? Oppure io non volevo rinunciare a soffrire ancora? Masochista! E intanto il tempo inesorabile andava veloce mentre procedevo con passo stanco ed incerto il selciato che ci avrebbe portato lassù. Con dolcezza gli sfiorai i capelli che scendevano sul viso pallido e triste come a dirgli: tutto quello che c’è stato tra di noi ieri, che c’è ora e chi ci sarà domani nel sole non è un miraggio e non svanirà nel vuoto del nulla, la potenza del nostro ieri, essere qui ora è più forte di quanto io e te sappiamo.. ma dentro tremavo.
I suoi occhi impenetrabili profondi mi guardavano smarriti, ma io li presi nei miei con tutti i suoi dubbi e le inquietudini che solo ora leggevo forse per la prima volta. Dovevo riflettere ancora? Stupida vestita di orgoglio aspettavo il suono di tromba del mio angelo guida. Non mi sarei arresa e dissi coraggiosa - forse ci siamo quasi, guarda c’è persino un pozzo che bello, io vado pazza per questi posti caratteristici, antichi – e corsi felice ed incuriosita a vedere quello che un giorno lontano era servito per attingere acqua, ma quello che vidi là in fondo mi lasciò senza fiato.
Mi voltai a guardare il mio diavolo con tanta luce negli occhi felice e pronta a tuffarmi tra le sue braccia, ma lui stava pensando ad altro, era distratto e non aveva la tromba.
Decisi allora che avrei inventato io la musica do-re-mi-fa-sol-la-siIIIIIII e gettai la monetina in fondo al pozzo profondo che uno spicchio di luna illuminava artificialmente formando uno spettacolo suggestivo. Dissi fra me – vorrei un po’ di pace. Lui, dapprima ed incuriosito dal mio gesto magico fece la stessa cosa ma espresse il desiderio ad alta voce: io – disse – vorrei portarti con me, nella nostra casa perché ti amo ancora forse non lo so neanche io quanto.
Avrei voluto buttarmi nel pozzo dei desideri a prendere l’acqua, la luna a metà e le luci per poi risalire, lavarmi e lavarlo ma, l’acqua non c’era più e la luna era irraggiungibile. Dissi semplicemente - tu dici spesso “ti amo” perché? E poi cosa credi che esista solo l’amore qua, io personalmente credo di certo che esiste anche l’amicizia, la stima - e così improvvisai un discorso senza né capo né coda perché non volevo affrontare il problema proprio ora che era così palpabile e limpido come la stella che brillava di più. Ma l’angelo non si decideva, antipatico e pigro a dar suono alle trombe ed io continuavo ad inscenare poveri tentativi che non stavano più in piedi tanto facevano acqua.
E aspettavo l’ora.
Improvvisamente sentii dentro di me un senso di pace che mi rilassò: ero semplicemente assurda e continuando così avrei allontanato persino l’angelo più dotato di pazienza e perseveranza. Dissi allora con un filo di voce: sai, penso che anche tu vuoi che noi si resti amici, ma poi dimmi non è che l’angelo si offenderà, lui sa tutto di noi due: vita morte e miracoli e poi di questi tempi gli angeli sono rari. Si voltò, aveva gli occhi felici e vi lessi una infinita dolcezza: guardammo lassù nel cielo, sicuramente le nostre stelle si erano appartate ma la luna era ancora li guardinga con i suoi contorni imprecisi e una luce più viva che diceva: avete finito di giocare voi due? Io mi sono stancata di stare dietro ai vostri capricci, ho altro da fare quassù che cosa credete voi due che le fandonie che si dicono di me in giro sono vere? Io invece sono buona e porto consiglio e come se non bastasse rendo viva la notte e le tenebre. Sorridendomi furba mi venne vicino a farmi uno sgambetto: mi ritrovai fra le braccia del mio angelo che mi strinse a se. dolce, dolce, dolce…………….
|