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La Lanterna Del Drago
di  Anna Baldinelli

Il tramonto questa sera è oscuro e lassù quella nuvola minacciosa assomiglia al Drago con la bocca pronta a succhiare ogni spicchio d’azzurro… Elisabetta come sempre venne fuori a sfoderare la sua fantasia; era triste perché fra poco sarebbe piovuto e a lei la pioggia d’estate le metteva tanta malinconia.
- Di che ti preoccupi cara? Qui non pioverà di certo siamo al sicuro - la tranquillizzò Roberto - e poi non è proprio vero che la pioggia metta malinconia….. a me piace quanto ti tengo stretta tra le braccia.
Lei si avvicinò al corpo di Roberto e vi si avvinghiò affinchè esso con il suo calore l’accogliesse in sé insieme a quella dolce malinconia che non voleva andarsene.
- Se continui a chiamare Drago uno stupido nuvolone questa notte avrai un incubo tesoro, quella lassù non è altro che una nuvola minacciosa - la tranquillizzò Roberto.
- Si hai ragione tu, però nessuno mi toglie….. e con l’indice sfiorò il capo di lui…. che quel nuvolone assomiglia alla bocca infernale di un Drago cattivo.
- Va bene… tu sei così, vedi nero anche dove non c’è… la voce di Roberto era delusa mentre dolcemente lasciava scorrere la mano lungo i piedini affusolati e su le caviglie e, lei dolce, si lasciava andare perché voleva dimenticare il nuvolone tempestose e la “Lanterna del Drago”, il loro ristorante dove avevano avuto la furiosa lite, l’ultima di una lunga serie. Mentre la sua mente correva cercando di scacciare i tristi ricordi, lo sguardo di Elisabetta si lasciava confondere dallo spazio del cielo e pensava: eppure faccio di tutto per sfuggire, ma la bocca del Drago cattivo mi rincorre: speriamo che si decida presto e che piova! Concluse amareggiata.
Quando Elisabetta e Roberto rincasarono nella “Tana del lupo” era buio ma il nuvolone era ancora lassù e nulla servì a placare l’angoscia di Elisabetta che si sentiva soffocare dalla notte che presto sarebbe scesa; vicino al corpo di lui le fu sopra e si amarono finchè il sonno li colse di spalle.

“Una bimbetta alta, bionda e magra con le treccine stava dipingendo uno dei suoi paesaggi autunnali: calzava sandali bianchi ed aveva in fondo alle trecce, annodato un filo verde e trasparente.
Era l’ora del tramonto: intenta ed inquieta Elisabetta non riusciva a trovare il colore per dipingere lo sfondo del cielo di un pomeriggio d’autunno… Eppure, avevo con me tutto l’occorrente; possibile che abbia dimenticato il colore giusto? Si chiese… Non mi … riesce, avrei bisogno di un colore che non sia colore. Il pennello intanto lasciava cadere inchiostro nero, bianco, grigio e rosso sulla tela dove un orribile mostro infernale simile alla bocca del Drago prendeva forma e sembrava vomitare fuoco.
- C’era una volta.. … un mondo che non puoi vedere, né io che sono qui a raccontarti questa favola né tu piccola sulle mie ginocchia, neanche io l’ho mai visto sai, me lo hanno descritto, l’ho notato nei dipinti della scuola, non so se ci sarà ancora; era un mondo immaginario senza né uomo né fantasia: era appunto per questo troppo piccolo e crudele; esso prendeva forma attraverso terremoti, maremoti e cataclisma. Esistevano allora soltanto mitici e leggendari animali, sai Elisabetta? … E questa non è poi una favola così immaginaria; nessuno sino ad ora è riuscito a sapere con precisione i contorni della mia favola e del mondo. Però, in quell’era l’animale più grande e feroce si nutriva del suo simile; era così Elisabetta! Stupita la ragazzina guardava gli occhi del nonno e sfiorava dolce dolce le rughe del suo viso senza interromperlo. C’era una volta e chissà se ci sarà ancora?
- E’ finita così? - Chiese delusa la piccola Elisabetta.
Il nonno scomparve e lei rimase li ad osservare quel mostro di fuoco. Devo distruggerti!….. Io volevo il colore del tramonto e non era mia intenzione buttare li sulla tela quell’orribile mostro!!! Ho paura!!!
La quercia, immobile sembrava soffocare la piccola che, incredula e terrorizzata sentiva i piedini incollati alla terra mentre la tela strappata dal vento e delle foglie appassite stavano pronte ad inseguire ogni sua mossa. Con il cuore in gola non so quante strade e viottoli la ragazzina percorse piangendo e dietro la sua mostruosa tavolozza e foglie appassite ed infuocate sembravano divorarla.
Un laghetto come un miraggio apparve. Elisabetta fece appena in tempo a denudarsi e si tuffò nell’acqua limpida dove una pianta sembrava aspettarla con i suoi rami tesi qualora ella avesse avuto bisogno di aiuto. Ormai sono salva pensò la ragazzina nuotando a pesce mentre la stessa sensazione che aveva provato prima di scappare dalla sua corte di fuoco la stava pervadendo e giù giù Elisabetta si sentiva sprofondare nella melma.
- Nonno aiutami non ho più la forza di muovermi! Perché sei andato via proprio ora che io ho tanto bisogno di te? Ho bisogno di “c’era una volta chissà se ci sarà ancora?” - Ripeteva disperata.
La figura del nonno dolce viso rugoso e stanco era li immobile pronto ad afferrarla e mentre il cielo oscuro e la terra si incontrarono per poi disperdersi, Elisabetta era li inchiodata in fondo al laghetto e non riusciva ad afferrare la mano del nonno. La pioggia che scendeva a dirotto nel tentativo di rendere ancora più difficile un’impresa già ardua e il buio non le erano amici mentre la piccola non distingueva più nulla: solo sbiadita la cornice del volto del nonno.
- Eppure ci deve essere una via di salvezza: ora che l’acqua ha spento il fuoco ed io ritroverò la terra - Fiduciosa Elisabetta si sentì svuotare e si vide là in fondo al suo paesaggio sotto la quercia…. – Ancora un po’ e ci sei…. coraggio piccola… la voce del vecchio era lontana e vicina.
Aveva smesso di piovere, le foglie stavano sui rami: erano verdi e umide di rugiada. Elisabetta era vestita di bianco, capelli al vento fresco di primavera con i piedini scalzi e raccoglieva colori.
La tela era perfetta: ella aveva dipinto un autentico paesaggio di primavera. Pensò felice: però quanta fatica sopravvivere con il radar nel cervello!! Ce l’ho fatta.. sono salva! C’era una volta, chissà se ci sarà ancora?”

Quando si svegliò Elisabetta aveva la pelle madida di sudore e la gola chiusa e secca. Roberto era ancora lì e sorrideva nel sonno. Con mani tremanti gli sfiorò le sopracciglia giù sino al mento; presto avrebbe rivisto la luce nei suoi occhi. Era stato solo un brutto sogno.

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Letture: 6800     25-08-2001
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